sabato 27 giugno 2015

Ciack! Si gira!









Estate calda del 1997 precisamente Luglio. All'epoca ero studente universitaria e quei mesi estivi sarebbero stati impegnati per studiare l'ultimo esame da dare a settembre e per scrivere la tesi sicché addio vacanze. Un giorno di Luglio lessi su "Il Gazzettino" che stavano facendo dei provini per fare le comparse per alcune scene del film che avrebbero girato da lì a breve a Padova, cercavano persone normali con fisionomie anni '40 e non modelle o future aspiranti attrici, in quel momento pensai: "Perchè no?" mi notai l'indirizzo e l'orario per poi andare a fare il provino per il casting del film "I piccoli maestri" tratto dall'omonimo libro di Luigi Meneghello. Ovviamente non dissi nulla a nessuno per non sentirmi dire: "Dove vai?! Ma figurati se prendono proprio te!!!" ...... Presa.

Il giorno della selezione incontrai parecchi studenti universitari che come me stavano studiando e perciò sarebbero rimasti in città anche ad agosto. Una specie di rimpatriata insomma. Alla fine mi presero, e mi presero anche le misure: taglia abito e numero calzatura. Mi avrebbero contattato i giorni successivi. Avevo allora i capelli lunghi quindi mi avrebbero fatto un'acconciatura come questa qui sotto con in più la retina che mi raccoglieva i capelli dietro.




Pettinatura Victory Rolls with banana




Passò circa una settimana dal provino e i miei erano in vacanza a Caorle quel mercoledì rincasai tardi perchè dovetti andare in via Prima Strada a registrarmi all'Ufficio di collocamento per lo spettacolo per poter fare la comparsa - eravamo in parecchi in quei giorni a fare la fila per registrarci! - quando, quasi finito di salire le scale di casa squillò il telefono, era la produzione che mi avvertiva di presentarmi i primi due giorni della settimana successiva in via Agnusdei presso la scuola elementare, avrei fatto la comparsa per due giorni. Se fossi arrivata a casa solo qualche minuto dopo non avrei fatto tale esperienza! 



Il primo giorno di riprese ci presentammo tutti in via Agnusdei per prepararci, pareva quasi una catena di montaggio! Erano tutti molto organizzati e veloci, e nessuno faceva caso se ti vedeva in mutande, in una grande aula c'erano le femmine in altre aule gli uomini che erano molti di più. Mi pettinarono alla velocità della luce e mi diedero degli abiti invernali da indossare, alla volta delle scarpe però iniziarono i dolori: dovevo essere una popolana stremata dalla guerra quindi pazienza per gli abiti consunti ma le scarpe, ovviamente usate, erano un pò scomode e con zeppa alta. Al momento ero rimasta un po' male per gli abiti però durò un attimo, eravamo tutti eccitati e stavamo per recitare. Usciti dalla scuola per dirigerci sul Liston dove avremmo girato vicino al Pedrocchi, vedevamo le facce stupite e un pò sconcertate delle persone di una certa età e le facce incuriosite ma con una certa distanza da noi dei passanti che incontravamo lungo il tragitto. 

Durante le pause delle riprese alcuni passanti si fermavano a parlare con noi dei tempi della guerra, ci raccontavano i loro piccoli aneddoti di vita vissuta. Altri invece inveivano contro le comparse vestite da tedeschi che a volte stavano zitti  e a volte rispondevano "guardi che sono una comparsa!" come per riportare alla realtà del tempo presente coloro che se l'erano presa con loro finanche inveire contro con sfoghi amari rispetto a torti subiti allora. A me con gli abiti di scena tutto sommato andò bene, capitò infatti che ad alcuni studenti che conoscevo avessero dato delle scarpe di numero inferiore. A Bruno, che impersonava un ufficiale tedesco capitò un paio di stivali di numero inferiore al suo, ma sopportò quel disagio per amore dell'arte. Bruno era appena andato in pensione, aveva lavorato in banca, ed era una persona molto dolce però vestito con l'uniforme di ufficiale tedesco, carnagione chiara, capelli rasati bianchi e occhi azzurro chiaro pareva proprio vero, faceva un certo che, mentre nella vita reale era una persona molto mite. 

Durante la pausa pranzo ci raggiunsero anche dei tecnici che arrivarono dalla Toscana, stavano girando un film con Roberto Benigni e ogni tanto li sentivo ridere, provavo a carpire qualche parola ma niente! troppo distanti. Comunque pensai doveva essere un bel film e al momento pensavo fosse un film comico invece stavano girando: "La vita è Bella".




Girammo alcune scene della liberazione di Padova in Piazza delle Erbe che per l'occasione era stata trasformata a livello scenografico: calcinacci e pezzi di giornale per terra e barricate di legno lungo i portici della Piazza dove noi popolani dovevamo attendere prima di uscire festanti incontro ai liberatori dopo un conflitto a fuoco in Piazza con i tedeschi. La scena la ripetemmo tre volte: la prima volta mi veniva istintivo non inciampare sui calcinacci e cadere rovinosamente a terra quindi guardare dove stavo mettendo i piedi mentre l'aiuto regista ci diceva di guardare verso i partigiani a testa alta e sorridenti; la seconda volta, un po' più sicura del tragitto che dovevo fare senza inciampare, mi sarebbe venuto d'istinto andare vicino al tedesco ferito a terra per vedere come stava e prestargli soccorso, nella vita reale forse se fosse successo a me lo avrei fatto sul serio, magari mi avrebbero allontanata dal ferito oppure no, ma avevo ben in mente ciò che dovevo fare: recitare bene la mia parte da comparsa. Il giorno successivo avremmo girato la scena lungo via San Francesco.





Io ero proprio lì a lato della via pronta ad accogliere festante i nostri liberatori. Prima di girare la scena, l'aiuto regista con l'alto parlante ci chiese "che ora è?" noi d'istinto guardammo l'orologio, l'ordine successivo fu:"toglietevi orologi ed anelli e metteteli in tasca". La signora che era vicino a me si tolse l'anello, un solitario, e lo mise in tasca, a fine scena fece per rimettersi l'anello ma, momento di panico, non se lo trovò più! Ci mettemmo tutti a cercare il suo anello, recuperato. 

Alcuni universitari che conoscevo lavorarono come comparse molti giorni ancora in qualità o di soldati o partigiani, dovettero andare anche a Chioggia  per girare delle riprese.

Anche Bruno girò molte scene in qualità di comparsa ma poi andando a vedere il film ci rendemmo conto che alcune scene non c'erano mentre la trama era prevalentemente ambientata ad Asiago e Bruno ci rimase un po' male, sperava di vedere alcune scene di Padova che invece non erano state inserite. Gli scattò però la passione per la recitazione e da quel momento si mantenne aggiornato su provini per i casting per i film che sarebbero stati fatti in Veneto e Lombardia, qualche tempo dopo lo rincontrai in autobus e gli chiesi se aveva fatto la comparsa in altri film e lui mi rispose di sì, piccole parti, ma che ad alcune occasioni di recitare come comparsa aveva dovuto rinunciare: erano distanti da Padova e non aveva la macchina e né la patente, Ah! Bruno! Bruno!......






















domenica 7 giugno 2015

I CAPRICCI DI MISURINA







La leggenda narra che un tempo, a capo della zona che si estende tra le Tofane e le Tre Cime di Lavaredo, ci fosse un potente e forte re chiamato Sorapis. Il sovrano era rimasto vedovo ed aveva una figlia di nome Misurina per la quale nutriva un'affetto e una devozione smisurati.

Papà Sorapis era un gigante e Misurina era così piccina che poteva comodamente stare nel palmo della sua mano.

Misurina era una ragazzina viziata e capricciosa, perennemente scontenta e sempre alla richiesta di qualcosa di nuovo. Nonostante ciò Sorapis che la adorava non esitava mai ad accontentarla e ad assecondare i suoi atteggiamenti che venivano puntualmente perdonati perchè attribuiti alla mancanza della mamma. Egli infatti esortava la servitù e le dame di compagnia ad avere pazienza con lei in quanto se potevano la evitavano perché dispettosa. Sorapis soleva ripetere "Signori miei, la mia bambina è alquanto monella, ma è la mia cara bambina! Rimedieremo... Rimedieremo.."

Misurina era così curiosa che voleva sapere tutto, voleva vedere tutto. Per scherzo un giorno la sua nutrice le disse: " Una signorina come te dovrebbe avere in camera sua lo specchio Tuttosò!" Misurina fu ancora più curiosa di prima e chiese a cosa servisse un simile specchio. 

La nutrice le rispose " E' uno specchio dove basta specchiarsi per sapere tutto quanto si vuol sapere!"
"Oh! mamma mia! Dimmi, come posso averlo?" La nutrice che voleva disimpegnarsi dalla ragazzina le disse frettolosamente: "Chiedilo a tuo padre! lui di sicuro lo sa."





Misurina non se lo fece ripetere due volte e felice corse da suo padre per ricevere in dono l'agognato specchio.

"Papà! Papà! devi farmi assolutamente un regalo!"
Sorapis le rispose accogliendola nella sua grande mano: "Sentiamo, di che si tratta stavolta?"
"Prima giura che melo farai!"
"Non si fanno giuramenti al buio, di che si tratta?"
Misurina inoltrò la sua richiesta: "Voglio lo specchio Tuttosò".
Sorapis impallidì, e cercò di far ragionare la figliola. "Tu non sa cosa mi chiedi, Misurina!"
Misurina si irrigidì e cominciò a fare i capricci e rispose contrariata: "Sì che lo so! e lo voglio!"
Sorapis tentò di nuovo a far desistere la figliola:"Ma lo sai che lo specchio appartiene alla fata del Monte Cristallo?"
E Misurina che non voleva sentir ragioni rispose "E che m'importa? TU me lo comprerai!"
Sorapis stava per cedere rassegnato a tanta insistenza.
"Senti Misurina..." La ragazzina cominciò ad urlare e a piangere sempre più forte e a dire: "E se non mi porterai quello specchio io morirò!"






A quel punto il povero re si vestì come da cerimoniale, con corona, scettro e mantello di ermellino e si avviò verso il vicino Monte Cristallo. Giunto al castello fatato bussò e fu accolto nella sala del trono, affianco alla fata vi erano le sue dame di compagnia che erano talmente belle ed eteree tanto da emanare una luce azzurra in tutta la sala. Sorapis fece l'inchino e la fata gli chiese: "Chi sei? Perchè sei qui?"
Sorapis con voce tremolante ed il capo ancora chinato verso terra le rispose in modo conciso: " Sono Sorapis e voglio lo specchio Tuttosò."  

"Solamente!?" Rispose ridendo la fata "Me lo chiedi come se si trattasse di fiori!"
Sorapis le rispose implorandola: "Oh! fata, ti prego non ridere,  se la mia adorata bambina non l'avrà morirà!" La fata volle saperne di più e gli chiese: " La tua bambina che ne sa dello specchio Tuttosò? A che le serve? Come si chiama la tua bambina? "
"Misurina."
"Ah! Ora mi spiego, la conosco di fama, le sue grida giungono fino a me quando fa i capricci, e questo capriccio è degno di lei! Va bene, io ti darò lo specchio ma ad un patto!"
Sorapis rabrivvidì e rispose: "Ti ascolto" 




Riprese la fata indicandogli il suo bellissimo giardino: "Vedi quanto sole batte da mattina a sera sopra il mio giardino? Mi brucia tutti i miei fiori! Mi ci vorrebbe una montagna a gettarmi un pò d'ombra. Ecco, bisognerebbe che tu grande e grosso come sei ti trasformassi in una bella montagna. A questo patto io ti cederò il mio specchio Tuttosò."

Il povero Sorapis che non voleva deludere la sua amata figlia accettò.

La fata trasse da uno scrigno un grande specchio verde e lo pose nella mano di Sorapis che nel frattempo era diventato smunto. 

La fata si accorse dell'entità del sacrificio che gli aveva chiesto e ne ebbe compassione, gli disse: " Senti capisco che non era nei tuoi intenti trasformarti in una montagna per esaudire il desiderio della figliola, però hai paura che la tua Misurina muoia se non avrà lo specchio. Ritorna al castello e ripeti a Misurina le mie condizioni per poterlo avere: se ti vuole bene rinuncerà a possederlo per non perdere il suo papà, e tu mi rimandi indietro lo specchio, altrimenti...... mi dispiace ma i patti sono patti."
"Sta bene" rispose il re un pò risollevato e ritornò al castello dove l'attendeva Misurina che appena lo vide gli gridò correndogli incontro:" Allora! Mi hai portato lo specchio?" Sorapis annuì e se la prese in mano portandola vicino al suo cuore per meglio spiegarle a quali condizioni avrebbe potuto avere lo specchio Tuttosò. Terminato di riferire l'ambasciata della fata del Monte Cristallo Misurina commentò: " Tutto qui? Dammi pure lo specchio papà e non pensarci. Diventare una montagna così grande deve essere una bellissima cosa e poi ti coprirai di prati e di boschi dove io mi divertirò!" E non appena finito di pronunciare quelle parole si fece consegnare lo specchio. 




Sorapis impallidì tanto che se non fosse stato segnato il suo destino forse sarebbe morto di crepacuore, tutto lì l'amore che Misurina aveva per lui? Ma ormai era troppo tardi per i ripensamenti, stava già iniziando la sua trasformazione: diventava sempre più grande e i suoi piedi e le sue mani diventavano di roccia, poi cominciò a ricoprirsi di prati e boschi e in tutta quella trasformazione Misurina si ritrovava sempre più in alto ma distrattamente, rimirandosi nello specchio, non si accorgeva che più in alto saliva più scoscesi e ripidi erano i sentieri. Sorapis pareva non voler smettere di crescere e la montagna mise a nudo le rocce ripide dove piano piano si chiudevano gli occhi del gigante. 




Ma prima che avesse termine la sua traformazione sentì un urlo di spavento della sua amata Misurina, si era trovata sull'orlo di una roccia e con lo specchio in mano perse l'equilibrio e precipitò dalla montagna mandando in mille frantumi lo specchio verde. Sorapis non potendo far nulla per salvare sua figlia dalla morte si mise a piangere e le sue lacrime scendevano dai suoi occhi semi pietrificati finchè la sua trasformazione non fu completa. In fondo al lago di lacrime giacciono Misurina e il suo specchio verde frantumato che ancor oggi dona quei bei riflessi all'acqua. Nel lago si riflette ancor oggi Sorapis alla ricerca della sua bambina morta.


liberamente tratto da  "Lo specchio di Misurina" di P. Ballario







Lago di Misurina - Belluno



Il Lago di Misurina - Claudio Baglioni


Sciolta ormai l'ultima neve
su un tappeto d'erba nuova
con un passo lieve nell'aurora
Misurina camminava
sopra ad una rupe si fermava
ogni dì alla stessa ora
nella calma del mattino
il silenzio era velluto
un arcobaleno di pensieri
lei gettava giù nel vuoto
e qualcuno la sopiava muto
il suo nome era Sorapis
Sorapis che viveva solo lassù
tra abeti e genziane blu
nessun sorriso ebbe mai
e Misurina che era tutto per lui 
un giorno scivolò giù
la vide con gli occhi suoi
Misurina riposava
tra il ginepro e i rododendri
si affacciava il sole dalle nubi
sopra i suoi capelli biondi
ed un alito di vento andava
a sfiorare lei
per lasciarla poi
tra le braccia di Sorapis
Sorapis chiuse gli occhi e il capo chinò
e giorno e notte aspettò
finchè di pietra non fu 
e con le lacrime che scesero giù
un verde lago formò
tra abeti e genziane blu.